CRIPPA Roberto
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galleria d'arte il triangolo
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Si diploma presso l'Accademia di Brera nella sessione 1947/1948 sotto la guida di Aldo Carpi, Carlo Carrà e Achille Funi. In questi anni, quelli del secondo dopoguerra, a Milano sorgono correnti artistiche di diversa matrice linguistica che testimoniano il clima di fermento culturale e di apertura verso l'Europa. E' un'umanità che reagisce all'epoca di chiusura dittatoriale e dà libero sfogo alle proprie forze di rinnovamento. E' una città che risponde all'offesa dei bombardamenti con l'ansia di ricostruire per riprendere il flusso di vita interrotto. Si trovano così vicini, nel tempo e nello spazio, movimenti artistici di diversa qualità estetica: il M.A.C. (Movimento per l'Arte Concreta), alla ricerca della forma pura, estranea ad ogni forma di imitazione o di legame col mondo esterno; il Movimento Spaziale capeggiato da Lucio Fontana, pronto a valersi delle conquiste scientifiche e tecnologiche per sconfinare i limiti fissati dal quadro o il Movimento Nucleare dei primi anni Cinquanta in netto contrasto con l'astrattismo geometrico e a favore di una fenomenologia dei processi atomici. In tale contesto culturale, così diversificato nelle proposte, risultano comprensibili le difficoltà di orientamento e le incertezze che può incontrare un giovane artista. E' il caso di Roberto Crippa che nella fase iniziale del suo percorso artistico, dopo aver sperimentato un linguaggio post-cubista di tipo picassiano, testimone dell'impegno di apertura al clima internazionale, attraversa un periodo in cui due diverse tendenze espressive sembrano convivere: una pittura astratto-geometrica e un'altra informale di tipo gestuale si accavallano senza un chiaro sviluppo temporale. Se la prima è in sintonia con i precetti del M.A.C., la seconda non è insensibile all'Action Painting di Jackson Pollock, presente alla Biennale di Venezia del '48 e del '50, né alle dichiarazioni spazialiste dei primi manifesti. La scelta a favore di quest'ultimo orientamento è segnata dall'adesione di Crippa al terzo manifesto spazialista del 1950: Proposta di un regolamento. Qui si ribadisce l'importanza del mezzo tecnologico e dello sviluppo dell'opera d'arte in senso spaziale. In questa prospettiva si inserisce il motivo della spirale, con cui l'autore esperisce la superficie della tela in termini dinamici: il motivo orbitale mai perfettamente circolare, dà luogo a un'infinita morfologia di linee in grado di verificare la presenza dello spazio in tutta la sua estensione, spesso varcando i confini imposti dal quadro. Il "moto spaziale" trascende così la dimensione fisica dell'opera d'arte prefigurando, nella prosecuzione ideale delle linee, una dimensione mentale dello spazio. In un simile campo d'azione alla libertà gestuale della mano segue l'azione liberatoria dell'artefice che dà sfogo alle proprie pulsioni creative grazie all'automatismo impresso ai movimenti ellissoidali, senza per questo venir meno a una lucida tecnica esecutiva. Le linee si snodano senza sbavature in percorsi solo in apparenza dettati dal caso per giungere a una peculiare identità compositiva. Il lavoro di Crippa è presieduto da un sottile senso dell'ordine e da una regia attenta ai valori pittorici legati alla forma e al colore: dagli elementi meccanomorfi (ingranaggi, rotelle) che ricoprono e strutturano lo sfondo del quadro ai valori cromatici accesi e uniformi che caratterizzano i cerchi dipinti di giallo, rosso, blu e verde. L'attenzione rivolta alle qualità pittoriche del dipinto resta tuttavia subordinata al moto spiraliforme. Quest'ultimo, elemento essenziale nella produzione artistica dei primi anni Cinquanta, segue due orientamenti opposti: una polarizzazione "centripeta" in cui il moto spiraliforme non fuoriesce dalla tela bensì resta concentrato al suo interno con particolare interesse all'assetto compositivo e un'altra "centrifuga" in cui la forza cinetica dei percorsi lineari si estende al di là del quadro. Se il primo subisce un processo implosivo, come attesta l'ammasso curvilineo collassato al proprio interno, il secondo ne subisce un altro esplosivo, con una fuga diversificata di linee all'esterno. Un'apertura dei confini che se da un lato consente una maggiore libertà gestuale, dall'altro, il diradarsi eccessivo delle linee, indebolisce il costrutto visivo. A tale carenza iconica supplisce spesso lo sfondo animato dai motivi meccanici che rinforzano così la struttura estetica del quadro. La prima coppia di opere esposte - Spirale, 1951 e Creazione del mondo, 1952 - esemplifica il caso di spirale a forza centripeta: fondo monocromo su cui si staglia con netta evidenza il calcolato dipanarsi e aggrovigliarsi dei filamenti fino a dar forma grafica al flusso energetico impiegato. In seguito ai contatti maturati a New York nei primi anni Cinquanta, si realizza il passaggio dalla stagione delle Spirali a quella dei Totem. Nella metropoli americana Roberto Crippa espone presso la galleria Alexander Jolas, stringe amicizia con Max Ernst e incontra Matta, Brauner e Tanguy, tra i maggiori esponenti del Surrealismo di seconda ondata. Una serie di esperienze che non solo lascia emergere la necessità di rinnovamento creativo ma indica anche un nuovo orientamento linguistico. L'investigazione spaziale condotta tramite il motivo della spirale ha ormai accertato i precetti diffusi dai manifesti dello Spazialismo. Il flusso vitale dell'artefice, fin ora costretto tra le spire dell'astrazione grafica, ha bisogno di concretizzarsi in un linguaggio visivo più aderente alla realtà del mondo esterno, in una raffigurazione più dichiaratamente mimetica. La stesura delle spirali subisce così un cambiamento radicale: non più esili filamenti, dal calibrato e lucido andamento, bensì cordoni grassi di materia pittorica adatti a riflettere la libertà del gesto in termini più spregiudicati e istintuali. Da questo vortice prende forma una figurazione primordiale, fortemente espressiva, i così detti Totem, che si sviluppano tra il '54 e il '56. Se nella stagione precedente la forza cinetica suggerita dalle linee esprime un'energia fisica, pari a quella di un campo gravitazionale, in questa fase pittorica la stessa forza assume una dimensione umana, si colora di valori archetipici che confluiscono in una iconografia aggressiva. D'altro canto, il totem, nella sua accezione antropologica di relazione di parentela, rappresenta il capostipite del clan, la cui nascita, risalendo a tempi immemorabili, acquista dimensioni mitologiche. Per questo il totem è una sorta di antenato umano che condensa, agli occhi di Crippa, una forza vitale tanto profonda quanto misteriosa. I lavori, Totem e Personage, entrambi del '56, rappresentano sì delle creature antropomorfe, ma con tratti animali che impediscono il riconoscimento della loro identità. Esse manifestano la primordialità dell'istinto libera da ogni controllo razionale. Ciò conferisce all'immagine totemica una purezza ferina immune ai condizionamenti imposti dalla civiltà. La successiva fase creativa, intrapresa verso il 1957, si caratterizza per il cambiamento del materiale artistico e della tecnica esecutiva: non più pittura ad olio o acrilica bensì cortecce d'albero, sugheri e carte di giornale fissati e assemblati con colle e chiodi. Si formano così collages polimaterici dai rilievi accentuati in grado di raggiungere una dimensione scultorea. Ma nonostante la diversità del mezzo impiegato, l'effetto finale resta affine ai canoni estetici della pittura: armonia cromatica, equilibrio formale e allusioni iconiche desunte dalla naturale foggia del legno. Una sensibilità pittorica che si coglie non solo nelle stesse proprietà vegetali di sugheri e cortecce ma anche nel solido impianto compositivo retto da un attento lavoro di coordinazione: la scelta-selezione degli elementi e la loro dislocazione-unione sulla superficie del quadro. Una coerenza di percorso creativo ben sintetizzata dal connubio dei rilievi plastici, testimoni dell'attività scultorea avviata nei primi anni Cinquanta, con la resa pittorica d'insieme. Una coerenza, tuttavia, che si avverte non solo in senso estetico ma anche in quello poetico. In queste opere emerge una figurazione primordiale, continuazione estrema dei Totem, così lontana nel tempo da risultare inintelligibile. Si intuisce la presenza di paesaggi, di forme di vita o di elementi ancestrali, ma si ignora il loro senso ultimo. Si posso formulare molte chiavi di lettura che non faranno altro che allargare il ventaglio dell'interpretazione, come avviene in Person del '59. Dal 1961 si assiste ad una fase di transizione in cui la fisica asprezza delle cortecce si accompagna alla mentale levigatezza dell'amiantite. Questo materiale si presta bene ad accogliere le accese stesure cromatiche dell'artista che mitiga così la severa costruzione dei legni scuri. E' il primo indizio di un'inversione di tendenza che vede, negli anni successivi, il progressivo incrementarsi della vivacità espressiva. Roberto Crippa pare rivendicare una gioia di vivere che si riflette nell'impiego vario ma calibrato dei colori. Landscape del '63, ad esempio, è un'opera dominata dal grigio dell'amiantite e dall'ocra dei sugheri, non senza l'aggiunta di sporadiche porzioni di rossi e blu. Una complessiva tendenza al decorativismo che raggiunge il suo apice nelle opere in sola amiantite. Si è così giunti a una nuova stagione pittorica il cui inizio può risalire al 1965 circa. I sottili fogli d'amianto appianano la superficie del quadro di cui resta, sottile e nitido, il rilievo del disegno inciso. E' ormai scomparso l'impianto architettonico delle cortecce e dei sugheri. Queste strutture in rilievo cedono il posto alla superficie spianata dell'amianto che lascia emergere la finezza della linea, la semplicità della forma e la purezza del colore. Ne segue un'eleganza d'insieme, più o meno sobria a discrezione delle gamme cromatiche stese: vi sono opere dominate dai grigi il cui aspetto monacale accentua uno stile parco, essenziale e vi sono altre variopinte, sfavillanti di colori all'insegna sì dell'entusiasmo percettivo ma pur sempre temprato dal rigore formale. In quest'ultimo stile si rappresentano immagini astrali - come vuole l'intenso monocromo Landscape del '66 -,veicoli volanti, vedute aeree o ingranaggi meccanici. Una visione sensibile alla spettacolare bellezza del creato che non finisce di meravigliare l'occhio dell'artista. Ancora una volta è la purezza della natura, il fascino dei suoi misteri ora non più umani ma cosmici, ad alimentare l'ultima fase creativa di Roberto Crippa.